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Teatro in Classe

Il percorso che accompagna le studentesse e gli studenti delle Scuole Secondarie di Secondo Grado a teatro si rinnova, con il desiderio e la voglia di diventare ancora più laboratoriale. L’attività approfondisce le riflessioni attorno allo spettatore, valorizzando l’occasione come palestra di sguardo (e pensiero) critico.
Dieci spettacoli della stagione di Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale per altrettante classi di diversi istituti scolastici che scriveranno una recensione restituendo ai lettori del nostro sito la loro esperienza teatrale.
L’attività dei laboratori TiC #tradizionali culmina con il termine della stagione quando una giuria di esperti premierà le migliori recensioni scritte dai ragazzi.

Recensioni

Les Fleurs

a cura di terza B, Liceo Scientifico A. Righi, Bologna
(coordinamento prof.ssa Laura de Maria)

Recensione
Il 12 dicembre 2023, noi, della 3ªB del liceo Augusto Righi, abbiamo avuto la possibilità di assistere allo spettacolo Les Fleurs, rappresentato dalla compagnia Balletto Civile, diretto da Michela Lucenti e ospitato dal Teatro Arena del Sole.

Appena ci siamo accomodati siamo stati abbracciati da un buio, non un buio qualsiasi, un buio profondo, inquieto. Poi l’accensione di una scintilla e l’inizio dello spettacolo: ci siamo ritrovati in una Parigi angosciosa e misteriosa, città brulicante di inetti, emarginati, idee, sensazioni.

Le scene si susseguono in un alternarsi di ambienti esterni ed interni, rappresentati da oggetti di scena poveri ma efficaci: tra i quali salta subito all’occhio la presenza delle lettere B e C sulla scena che rimandano a “Charles Baudelaire”, “Balletto Civile” e forse a “città brulicante”.

Su questo sfondo si muovono ad orologio sette personaggi passionalmente interpretati da Maurizio Camilli, Michela Lucenti, Alessandro Pallecchi, Gianluca Pezzino, Emanuela Serra, Francesca Zaccaria e Francesco Gabrielli.

La scena è abbracciata da Baudelaire, che con i suoi occhi guarda i suoi fleurs du mal prendere vita e da una lavagna nel lato opposto, dove verranno di volta in volta scritte le parole che guidano la narrazione scenica. All’accendersi della prima luce, un personaggio vestito in maniera appariscente cammina sul palco, animando la scena, ma dopo poco anche gli altri interpreti iniziano a muoversi, creando un effetto realistico di quotidianità, in cui ognuno vive la sua vita. Lo sguardo dello spettatore è catturato da un fleur du mal in rilievo che ci illustra la sua prospettiva su alcune esperienze umane come la noia, la bellezza, la rivolta, con la danza, la poesia e la musica. Nella prima parte dello spettacolo ogni fiore del male è tale perché solo, emarginato, e incompreso, ma piano piano alcuni personaggi cominciano a collaborare, formando una complessa armonia danzante. Alla fine gli artisti riflettono, con i loro rispettivi mezzi espressivi, su come sarebbe un mondo senza la parola e sulla potenza di quest’ultima.

Lo spettacolo ci fa riflettere, attraverso il linguaggio della poesia e della danza, su una città brulicante che tenta di reggersi sul logos.

Questa sintesi artistica del Balletto civile che ha come punto di partenza la parola di Baudelaire ha suscitato in noi spettatori emozioni contrastanti che vanno dallo stupore alla malinconia, infatti l’interpretazione degli attori ha saputo riflettere tutta l’angoscia delle persone emarginate in una Parigi rappresentata, in fondo, come una città notturna dei nostri tempi.

Non c’è dubbio che la parola poetica dia, in questo spettacolo, l’impressione di sovrapporsi perfettamente alla plasticità dei movimenti, esprimendo concetti complessi con l’agilità della danza.

Questo eterogeneo linguaggio sottolinea la separazione tra chi vive una vita diversa da quella di una borghesia omologata e chi invece ne fa parte.

Per questo lo spettacolo ci ha parlato anche dell’oggi, per questo lo abbiamo apprezzato.
La terza B

Apocalisse tascabile

a cura di terza C, Liceo Scientifico A. Righi, Bologna
(coordinamento prof. Paolo Rota)

Quando ci si trova a empatizzare con un gamberetto d’acqua dolce: l’esperienza della 3C del Liceo Righi di fronte ad Apocalisse tascabile

C’è via di scampo? Parla di me? E se fosse tutta una scusa?
Cosa farò del mio futuro? Come mi vedo tra dieci anni? Perché è così? Avrò il coraggio di buttarmi? Sono veramente schiavo dell’opinione? La realtà è veramente così come ce l’hanno raccontata? Diventerò così? Sono un numero?

Entrando alle Moline per assistere ad “Apocalisse tascabile” di Niccolò Fettarappa e Lorenzo Guerrieri, vediamo che in centro alla scena troneggia un carrello della spesa. Nel corso dell’opera assume vari significati: è una gabbia che intrappola la persona e al contempo rappresenta anche l’ambiente che condiziona ogni aspetto della vita. 
Tra le migliaia di prodotti non c’è tempo per pensare, la società vuole toglierci la possibilità di riflettere per conto nostro, il carrello è il consumismo.

La pubblicità ci condiziona a tal punto che il ritmo dei primi scambi di battute tra i due attori in scena avviene a colpi di slogan pubblicitari, senza una vera e propria logica, quasi come fossero degli automi. Il consumismo si trasforma mutando e prendendo la forma di Dio e successivamente della poltrona che abbraccia la solitudine di Piccolo Fetta: un luogo e un mostro che è la società in cui i giovani vengono gettati quotidianamente. Man mano che lo spettacolo procede ci pare andare sempre più verso l’identificazione e l’affermazione di una società che scheda, che assegna profili a cui bisogna attenersi fedelmente, come tentativo consolatorio di autoidentificazione.

Come possiamo uscire da questo loop? 
Parla di noi? Si, ci fa riflettere come anche noi un giorno verremo processati dal mercato del lavoro.  Ci immedesimiamo negli attori, siamo smarriti… che fare dopo il liceo o l’università? I loro vestiti, la loro postura, lo sguardo vuoto ci comunicano quella sensazione di disagio che potrebbe crearsi una volta aperte le porte sul mondo degli adulti: siamo tutti vittime delle aspettative. Intanto lo spettacolo scorre con linguaggio veloce, pieno, diretto, a tratti scurrile, senza peli sulla lingua. Il copione è un flusso di pensieri che ci investe capace di condensare il senso di oppressione di Fetta sovraccaricato e succube del mondo. L’assenza della così detta quarta parete crea un pieno coinvolgimento tra artista e pubblico. Quest’ultimo, infatti, è parte integrante dello spettacolo. L’attore funge da specchio nel quale il pubblico si rivede con occhio critico.
Potremmo farcela? Siamo uniti, e se sì, quanti siamo? Posso cambiare le cose? C’è qualcuno che non si sente come ci hanno descritto?
Queste sono alcune delle domande con le quali lo spettacolo ci ha lasciati senza risposta una volta usciti dalla sala.
Siamo rimasti colpiti in particolar modo dalla scena finale che ci ha lasciato tanti interrogativi: dalla scena scagliano verso la platea dei peluche con foga, rabbia quasi. I pupazzi sono i giovani appassionati (e possibilmente laureati) di discipline “non basate sul profitto” (quelle umanistiche?), ma la nostra è una società basata sull’efficienza, e dunque vengono scartati, smembrati, macinati, uscendone vuoti e spesso senza dubbi, non per la mancanza di interrogativi ma per l’assenza del poter ragionarne insieme.  
Gli attori cercano di rendere partecipi gli spettatori, interpellandoli e ponendo domande (retoriche), facendoci capire che il problema denunciato non è un evento singolo ma una vera e propria epidemia tra le menti dei giovani adulti: gli attori suscitano emozioni forti e vere, come rabbia, frustrazione, scocciatura e delusione, e, per esempio, sputando in faccia agli spettatori simulano la stessa sensazione che provoca lo sputo allegorico di un datore di lavoro dinanzi ad una persona che, pur essendone inesperta, prova a entrare in questo mondo.

I ragazzi e le ragazze della 3C Liceo A. Righi, Prof. Rota